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Friday, August 10, 2012

Confessionale intellettuale

Rieccomi genuflesso innanzi alle mie colpe.
Stanotte ho riscosso consolidate consuetudini. 
Sempre grazie al principio einsteiniano di correttezza: l'approvazione di vostra nonna (che mi sono permesso di generalizzare agli amici, per poi ristringermi a quelli non ottusi).

Il gioco esposto era il classico Tutti i cavalli sono dello stesso colore

Ora, a parte l'errore logico dello pseudoparadosso, capii percepii quanto l'amico trovava innaturale il seguente passaggio:
 We wish to prove that they are all the same color. Suppose that we had a proof that all sets of four horses were the same color. If that were true, we could prove that all five horses are the same color by removing a horse to leave a group of four horses.
L'obiezione plausibile per i non matematici (e logici) è: se io ho cinque cavalli, non è che togliendone uno poi quelli che rimangono possono cambiare colore. Detto così, non ho parafrasato alla meglio la stranezza che si evidenzia qualora ci si rappresenta il problema. Ma penso si capisca dove sia il punto.

Naturalmente, mi sono sentito proustianamente sprofondare nel ricordo del primo mese di università, quando la dimostrazione, o meglio il dimostrare, mi appariva cosa a dir poco artificiosa e forzata.


Ritengo che il punto appena additato della citata dimostrazione costituisca un ottimo strumento per fornire una spiegazione di che cosa sia il pensiero astratto. Consideriamo infatti lo stesso problema cambiando le parole.


Voglio dimostrare che tutti i numeri hanno la stessa proprietà che chiamo culore (quindi in matematichese, ho una funzione che potremmo supporre essere $cul:\mathbb{N}\rightarrow\mathbb{R}$, e voglio dimostrare che assume lo stesso valore su tutti i numeri naturali)

Se prendo l'$1$, questo avrà un certo culore.
Supponiamo che presi $n$ numeri, questi siano dello stesso culore.
Qui faccio un'osservazione che apparirà sicuramente non richiesta per il matematico o il logico, ma che a mio avviso può gettare nuova luce sulla sensazione di incoerenza che sentii comprensibile nel mio amico. Osserviamo, dunque, che non ho nessun modo, finora, di stabilire quale sia il culore di un numero; non posso prendere $k$ numeri e dire "questo è di tal colore, questo è di quest'altro", perché non ho ipotizzato, né tanto meno è un assioma, di poterlo fare; ho invece ipotizzato che, se ne ho $n$, allora sono necessariamente dello stesso colore. 
Presi dunque $n+1$ numeri, posso proporre il giochetto di cui lo pseudoparadosso. 

A mio avviso, se per la prima volta l'avessi raccontato così, in questi termini, non sarebbe emerso lo stesso problema. Lo penso perché, appunto, il problema è che proposto in termini concreti (cavalli, gatti o polli di un certo colore), la mente non abituata a astrarre, si riempie abusivamente di un sacco di assunti che fanno parte del significato ordinario delle parole usate (esempio: presi $n$ cavalli io li vedo e quindi so già di che colore sono... intuizioni di tale lega). 


Logica invece significa essenzialmente assunti e regole di inferenza. E nient'altro. Assolutamente nient'altro. Bisogna avere in testa esclusivamente quanto si è dichiarato ritenere vero, altrimenti è arte, psicologia, teologia, che ne so, ma non logica. 


Astrarre è un'operazione della quale si può in primis rendere il sapore dicendo che il senso è un po' quello di "spogliare". Stabilisci cosa vale e il resto non esiste più. Per esempio, nell'induzione, $n$ è un numero, ma non ha senso chiedere quale. Rappresenta ciascun numero. 


Salta spesso alla mente, quando si arriva a fare discorsi simili sulla Matematica e la Logica, la celebre affermazione di Von Neumann: 

La Matematica non la si capisce: ci si abitua ad essa. 
Nella perplessità ricevuta in risposta al quesito, dunque, ritengo che giocasse un cattivo ruolo il fatto che la mente del mio interlocutore contestualizzasse il problema anziché con-centrarsi su di esso. Ad esempio, l'obiezione di cui sopra ha a che fare con un prima  e un dopo ma la Logica (tranne quelle logiche appunto temporali), un prima e un dopo non ce l'ha, quello fa parte del processo umano del creare o spiegare la dimostrazione, ma essa è il nero su bianco che sta lì sul foglio dove i passaggi si susseguono simultaneamente.

Tuesday, August 7, 2012

Confessionale accademico

Ci sono alcune concise riflessioni da fare. A fronte della settimana di riposo che mi ero proposto di prendermi, ho raddoppiato, e ora è il momento di tornare a rimboccarsi le maniche. 

La mia attuale visione di me in quanto studente, maturata finora, segue qui. 
Ho una buona capacità di visualizzazione e, in un certo senso, una buona fantasia, frutto di un disciplinato addestramento alla distrazione sistematica durante la mia vita scolastica nell'età dell'obbligo, o forse per qualche predisposizione neurologica. Così, pigro e distratto, passando le ore di lezione a pensare ad altro, al top dello spreco e dell'inefficienza, sono riuscito a sfangare tre anni di laurea in Matematica prendendomi il mio bel pezzo di carta, arrivando a pochi giorni prima degli esami sapendo poco o nulla e tuttavia riuscendo frettolosamente a rappresentarmi i concetti chiave quanto bastava per sembrare uno studente migliore di quanto sono. Soprattutto l'ultimo anno, ho accusato la mia incapacità di concentrarmi nel trascinarmi contro gli ultimi esami. 
Iscrittomi alla magistrale, passai presto ad Informatica; ok, giacché avevo più da prendere lì che là, e non mi dilungo su cosa intendo se non l'intuite. 
L'impegno richiesto qui era anche meno, e così ancora peggio: con pure più negligenza, sto riuscendo ad andare bene con una condotta che, a mio parere, in un sistema universitario serio mi farebbe guadagnare un bel po' di calci nel dietro verso l'uscita dell'istituto, anzi calci e calci fino alla facoltà umanistica più vicina (eheh). 
Ma, è ragionevole dirlo, un sistema universitario serio con non meno probabilità mi stimolerebbe di più. I sensi di colpa in ogni caso non mi mancano, also known as ciò che sarei potuto essere e che invece non sono, ogni secondo che passa, per sconvolgente pigrizia volitiva. 

Però, ecco, lamentele e lamentele, e poi tutto sommato sono uno studente molto apprezzato. 
In primis perché, mentre ho cercato finché potevo, e ancora lo faccio all'inverosimile, di sostenere il sottovalutato potenziale della plasticità cerebrale del nostro cervello (e dunque che l'intelligenza dipenda larghissimamente dalla propria volontà di svilupparla), è alla fine un po' troppo evidente che, se mi ritrovo sconsolato a convivere con la sensazione di camminare in un mondo infestato da fantasmi di sé stessi, sarà anche perché la gente si ritrova con un cervello poco reattivo; che poi il problema sia hardware o software, formattare non si può, quindi pace. E in questo scenario calvinamente predestinatorio, sono più sveglio della media. 

Ma la mia intelligenza si è messa  a frutto da sola? 
Nella mia crescita intellettiva, uno dei fattori più costruttivi è stato l'influenza di due studenti che, davvero, ci tenevano a diventare bravi in Matematica. 
Da loro, utilizzando il segreto dell'apprendimento, che è...udite udite... la mimesi, ovvero "ricopiare", ho imparato a pensare un po' meno alla c£%&o
Ora, dei due, uno sta avendo il suo meritatissimo successo accademico (per quanto ne so e ho ragionissima di credere), mentre l'altro ha subito un po' un rallentamento per la minor ortodossia disciplinare in termini accademici, ma non tradisce la sua natura (di recente, gli hanno messo al collo un argento alle IMC).
A parte le minoranze come loro, mi sembra che per lo più gli abitanti di questa terra si curino più ella forma che della sostanza (in senso assolutamente non aristotelico). Cioè, della gente iscritta a Matematica, molti avevano il semplice e onesto proposito di aprirsi la strada verso un buon lavoro, ma non pochi erano lì per sentirsi intelligenti, per prendersi il titolo di Matematico per poi poter dire in giro di essere meglio. Inutile dire che di matematica, con quest'approccio, se ne arriva a capire ben poca. 
Mi ricordo che m'iscrissi con slancio oddifreddiano e russelliano, perché appunto poi sarei stato un filosofo di tutt'altro spessore; ma non posso negare che motivazionalmente subissi pur'io una certa "fame di titolo sociale". E non è quindi che mi si possa dire "senti chi parla", perché di certi peccati nessuno può biasimare, con maggior coscienza, di chi li ha commessi. 
Questo non è il post dove intendo approfondire certe tematiche, ma nell'esame di cervello che vado perpetrando, non reprimo il desiderio di rimproverare coloro i quali per inerzia seguono gli schemi del mondo, poiché il mondo non ha schemi se non quelli che sono stati posti da gente prima di noi, e se quindi si hanno i pochi neuroni necessari a farsi venire l'iniziativa di dargli un'occhiata prima di adottarli, magari ci si accorge che certe cose potrebbero essere fatte anche meglio...

Thursday, June 28, 2012

Col senno di poi

Cominciando da molto lontano, uno dei problemi più sentiti dai matematici privi di quella vocazione ascetica che permette un sincero disinteresse per le secolari questioni mondane, è la percezione ingenua, banale e quantomai triste che le persone matematicamente analfabete mostrano della Matematica.
Non è facile spiegare che non si tratta mica di fare calcoli tanto complicati coi numeri, e poi ancora più complicati.
Un problema non meno grave si ha per l'Informatica Teorica. Mentre la cultura massmediatica con un A beautiful mind e un carismatico Odifreddi ha un po' rivalutato il matematico, se non si parla di hacker (nell'immaginario: individui asociali e in simbiosi con monitor e tastiera), l'informatico è poco più che un amanuense che nella più creativa delle ipotesi fa la gioia dei videogiocatori; forse il bel Doodle di Google per il centenario del suicidio di Turing segnerà un aumento dell'attenzione sulla creatività che la mente umana ha saputo esprimere nel creare sistemi teorici quali la moderna Teoria della Complessità Computazionale, col mistero racchiuso tra P e NP e le impensabili dimostrazioni di NP-Completezza.
Ricordo il discorso d'apertura del corso di Fisica 1 il secondo anno della Triennale in Matematica, in cui l'adoratissimo professore esordì con un "Innanzitutto, perché bisogna studiare la Fisica? Perché, la Fisica, è stata fatta da voi, i Matematici!"
(E valeva per l'Ingegneria stessa in generale e quant'altro, in un'epoca che sembra essere stata allergica allo sguardo sdegnato che il nobile Algebrista o Geometra spesso sembra malcelare innanzi alle scienze più applicate, sporche di realtà in tutta la sua banalissima contingenza.)
Assolutamente non di meno va detto dell'informatica, da Boole e Babbage a Turing, Ulam e Newmann... e mentre Eulero sognava i matematici del futuro in grado di eseguire maestosi calcoli mentali, oggi su uno smartphone si ha la potenza di calcolo che fu sufficiente a portare un uomo sulla Luna. Tuttavia non mi sognerei di giustificare lo studio dell'informatica con motivazioni storiche, bensì mi pare meglio tenere in considerazione l'appena citato sogno euleriano: il computer fa i conti, e li fa benissimo. È STATO CREATO PER FARLI. È un'estensione naturale delle nostre facoltà mentali.
Ma la discriminazione che attorniò Newmann e il suo gruppo nel dare vita a questo miracolo della tecnologia, da parte dell'alta nobiltà matematica che non s'insozza di metter mano a vili "concretitudini", è ben lungi dall'essersi dileguata.

Da piccolo ero affascinato dalla tecnologia, e l'attrazione per la Matematica derivava dal vedervi la legge segreta che permetteva di far funzionare le cose. Quando mi iscrissi a Matematica, mi aspettavo che un po' tutti i colleghi avrebbero avuto un certo grado di nerdità. Ma come introdotto poc'anzi, l'atmosfera è in genere ben diversa, e il clima è più a base di gesso che di elettroni.
Nel percorso di studi, tutto sommato molto bello, ho dovuto sbattere la testa, senza troppo dispiacere, contro quattro bei corsi di fisica. Di informatica, solo... tre, ma anche meno.
Mentre ciascuno dei corsi di fisica ha saputo il fatto suo, lo stesso non può certo dirsi sul lato informatico. Il primo laboratorio di calcolo era ed è di tutto rispetto: obbliga a farsi una pennetta con una distro Linux e insegna il C con una qualità che, constato ora, è solo un sogno per il corso stesso della Triennale di Informatica; per il resto, il corso di Informatica è obbligato a indugiare su noiosaggini che non lasciano certo immaginare la teoria che potrebbe seguire se ci fosse più tempo, e il secondo laboratorio di calcolo non va oltre un po' d'analisi numerica.

Nel mentre, nei vari corsi d'analisi e non solo, ho dovuto fare il polso con integrali non proprio adorabili e, siccome però non smettevo di sporcarmi le mani con le binarie bassezze del mio netbook eeepc900, mi accorsi nel mentre che tutti quei conti, I COMPUTER LI SANNO FARE. Dicesi software per il calcolo simbolico. Ora, le calcolatrici sanno fare le moltiplicazioni e non è che per questo io non le debba saper fare, ma di certo mentre prima dell'esistenza di quest'ultime era non dispensabile una decente dimestichezza coi calcoli a due cifre se non più, ora saper fare 78x33 a mente non è la cosa più utile del mondo. Così, certo, fare gli integrali non fa male, ma se magari s'insegnasse anche a farli, in generale e senza sforzo, scrivendo due righe sul software giusto, non sarebbe male.

Ho iniziato a scrivere questo post con intenzioni ben più blande dell'affrontare l'ampio discorso in cui in cui sono incorso. Poco male, ma finalmente eccoci al perché delle chiacchiere.

I tempi corrono e la matematica italiana sembra un po' tanto arenata alla matematica che si sviluppo' in risposta alle esigenze della fisica (equazioni differenziali a go go), e non ho visto un sol corso di Combinatoria e Teoria dei Grafi che tanto spingono nel resto del mondo (o sbaglio?). I computer sono sempre più sul fronte della ricerca come strumento prediletto per l'indagine scientifica;
un matematico che si rispetti deve sapere, IMHO, scrivere con nonchalance un programmino che gli dia corpose risposte su questioni d'algebra, combinatorica, teoria delle categorie o checchessia, che computazionalmente la sua mente non può affrontare.

Ora, in risposta a tale posizione, o più sinceramente per mera passione personale, ho saltato da Matlab a Maple, da Maxina a Mathematica, da Scilab a Octave. Poi è arrivato Sage, ed era esattamente quello che cercavo: gratis, open, e fatto dai matematici per i matematici. Ma questa è tutta un'altra storia di cui parleremo più avanti. A chiudere, la promettente dichiarazione che il suo fondatore rilasciò in occasione di un articolo del 2009 sul ScienceDaily:

 "I really want it to be the best mathematical software in the world."

Friday, April 6, 2012

La mente umana è uno stimatore bayesiano

Tra i banner aggiunti al blog c'è quello di italiaora.org.
Prima di frequentare il corso di Elementi di Statistica a TV (Tor Vergata) del prof Scalia Tomba (non ricordo se già lo dissi), notai sulla porta del suo ufficio una bella massima che dice più o meno così (potrei andare a controllare testo e fonte con precisione perché ne sono a pochi passi ma come diceva spesso il prof Ghione, il matematico è pigro... figuriamoci l'informatico, che ha inventato apposta uno schiavo): 
Il pensiero statistico nella futura società diventerà parte essenziale del modo di pensare di ogni cittadino.
 Da tempo desideravo un sito come italiaora.org, che portasse alla mente del cittadino italiano un pizzico di quella sana obiettività che sta nel Numero.
E ad esempio il mio amico polacco alla prima occhiata nota: se riducessimo di $\frac{1}{5}$ l'evasione fiscale, l'incremento del debito pubblico italiano si invertirebbe, e in due decenni staremmo sopra!!! (e quante nazioni possono vantarsi di non avere debito?... lunghe storie).